Nel 1888 i nostri padri decisero di costruire una nuova Chiesa parrocchiale, non più sulla sponda del torrente Orba, ma, sulla direttrice Alessandria - Ovada.
La vecchia Chiesa non bastava più ad accogliere la popolazione in costante crescita.
Alla fine del secolo (1800)gli abitanti di Portanova superavano le 600 unita e dato che la percentuale di frequenza alle Sacre Funzioni era molto alto, si decise di costruire un Tempio che avesse una capienza maggiore.
Ma gli anni intorno al 1888 erano difficili.
L'Italia aveva da poco raggiunto la sua unità ed il18 febbraio 1861 si riuniva a Torino il primo Parlamento dell'unità, che il mese dopo, proclamava Vittorio Emanuele II, primo Re d'Italia.
Nel 1870 Roma diventava Capitale d'Italia.
Ma, fatta l'unita della nazione, restava da fare l'unita degli italiani, bisognava centralizzare l'amministrazione frazionata, vincere le tensioni prodotte dalla violenta soppressione dei vecchi equilibri.
C'era poi il caso di coscienza dei cattolici, incerti se appoggiare lo Stato notoriamente anti clericale e massonico.
Inoltre era in atto un processo di industrializzazione proveniente dall'Inghilterra che ebbe un costo pesante per i ceti più deboli.
Esso provocò uno spostamento di masse umane dalla campagna alla città con notevoli problemi di inserimento.
Il fenomeno poi della divisione del lavoro causo enormi frustrazioni in chi veniva da esperienze artigianali e contadine.
Si aggiunga la mancanza di tutela giuridica del lavoro che apri la strada allo sfruttamento dei lavoratori da parte di padroni emergenti senza scrupoli.
Tale miscela fece esplodere la cosiddetta "Questione Sociale".
In breve, la tensione fra paese reale e paese legale, la povertà generalizzata, le ricorrenti crisi economiche, l'iniqua tassa sul macinato che colpi i più poveri, gli scioperi n città ed in campagna, tutto ciò fa dire che gli anni 1880 furono convulsi e difficili.
Il nuovo Stato unitario ebbe il suo daffare per gestire la trasformazione da stato oligarchico (votava il 2 per cento degli italiani, cioè chi possedeva e sapeva leggere) in stato democratico e da un' economia agricola ad una industriale.
Entro questo quadro di grossi problemi si inserisce l'assassinio del Re Umberto I ad opera di un anarchico,il Bresci, che chiude un secolo, il XIX, ricco di fermenti. Questo secolo é stato percorso anche da entusiasmi quasi fanatici per le conquiste della scienza e da una illimitata fiducia nelle "magnifiche sorti e progressive" che avrebbero condotto ad una specie di età dell' oro.
Tale almeno era l'aspettativa.
In quest'epoca dunque i nostri avi, guidati da un Parroco illuminato e da sei collaboratori attivi, decisero di far sorgere dalle fondamenta una nuova Chiesa.
In questo tempo di grandi entusiasmi e di grande miseria, in cui le masse incominciavano a prendere coscienza di sé e della propria forza, la costruzione della Chiesa,
qui a Portanova fu come il segnale d'ella Risurrezione degli umili.
La volontà della maggioranza della popolazione decise la sede contro il parere di pochi, che, volevano far sorgere il Sacro Edificio nel luogo (o li vicino) dove sorgeva una volta, forse per ragioni sentimentali o per comodità propria o per la riaffermazione del loro antico privilegio, non si sa bene.
Il contrasto crebbe fino al punto che vi fu un'aggressione ed i responsabili, veri o presunti, finirono in tribunale e ne segui una condanna.
Ma tosto le acque si calmarono, tutti si avvidero della giustezza della scelta fatta e, presero a collaborare.
I Signori Ferrari, proprietari dell'omonima cascina concessero il terreno, i sei fondatori furono i Garanti, gli altri offrirono il loro lavoro.
La costruzione infatti fu sostenuta da una vera passione popolare. Si ripeté a distanza di anni quell'intesa generale che consenti nel Medioevo la costruzione delle splendide Chiese Romaniche e Gotiche che sopravvivono tuttora all'usura del tempo, veri monumenti di arte e di fede.
Nella costruzione della Chiesa, la popolazione di Portanova affronto una specie di sfida con sé stessa, in cui dette prova del proprio valore.
La domenica, nelle ore precedenti l'alba (come da ordinanza vescovile) chi aveva carri e buoi, si revaca alla fornace Bolloli di Castellazzo Bormida a caricare mattoni o al greto del torrente Orba a prendere sabbia e sassi; chi alla golena boscosa (isla) col consenso del Marchese Dal Pozzo di Retorto ad abbattere alberi per il tetto.
Chi non possedeva mezzi adeguati si serviva di sacchi e di grembiuli per preparare il materiale occorrente al lavoro settimanale dei muratori.
Tutti volevano essere utili, tutti volevano scrivere la propria storia nella costruzione della Chiesa.
Lavoravano gratuitamente per edificare la casa di Dio e degli uomini, sorretti dalla Fede e da un pizzico di orgoglio personale, ognuno se ne faceva un punto d'onore tutti volevano dimostrare di poter riuscire.
Il popolo contadino, pressoché tutti braccianti agricoli, che gravitava intorno a due o tre grossi proprietari prendeva coscienza di sé, si affacciava alla ribalta.
Il parroco Don Pietro Sommo cosi scriveva all'allora Vescovo di Alessandria, Mons. Salvaj: "Volgono tre anni da che, fidenti in Dio e nella carità cristiana, ci accingemmo all'impresa di edificare in un sito più comodo per la popolazione una nuova Chiesa parrocchiale.
Pareva temerità e certamente l'opera superava di molto le deboli forze dei poveri terrazzani.
Ma il 25 Novembre (1891) il tetto era ultimato, era stata posta l'ultima tegola fra gli applausi e le lacrime dei buoni parrocchiani.
Ora che l'edificio é innalzato in mezzo alla vasta pianura, fa bella mostra di sé ".
Quando l'Edificio Sacro fu compiuto ognuno che vi entrava poteva quasi leggervi un po’ di sé stesso: ogni mattone di quei muri grondava del proprio sudore e quando entrava perle Funzioni sacre, gli pareva di entrare come in casa propria.
Essi sapevano che qui, sarebbero stati battezzati i loro figli, celebrate le loro nozze ed un giorno, vi sarebbero entrati per l'ultima volta, accompagnati dalla comunità. Mancava il campanile, una Chiesa senza campanile è una Chiesa senza voce, tanto più che il paese non ha un agglomerato accentrato ma case sparse su un territorio molto vasto.
Con ulteriori sforzi anche il campanile fu edificato, le campane furono donate dal Signor Delfino Bartolomeo, il quale offri anche il vecchio pulpito, trasformato in tribuna per la cantoria.
Compiuta l'opera si dovette saldare il conto, una cifra enorme per quei tempi, in cui una lira faceva agio sull' oro ed una lira valeva un dollaro. I debiti furono saldati da Don Giovanni Gamalero, successore di Don Sommo. La cifra da pagare era di £ 40.000 (allora la Cascina Ferrari integra, valeva £ 27.000.